il filo...

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    Con l’anima azzimata  per la  presentazione ho vagolato nei miei anni, flottando qua e là, toccando qualche riva rivelatrice. Quand'ero ragazza ero narciso, giacinto, croco e, come quei gracili fiori, incapace di sopportare fino alla fine la sofferenza della crescita: ero possibilità e promessa e mai compimento. Morivo ogni volta dopo aver adorato ciò che pareva originale e nuovo: le epifanie più insignificanti pesavano più dei classici della cultura. Cercai un lavoro che placasse la mia ansia di conoscenza e feci per molto tempo il testimone: guardavo, annotavo, illustravo un mondo che mi appariva osceno e meraviglioso, come certi quadri di Bosch. Era  un lavoro duro e faticoso e non lasciava spazio ad altre attività. Cercai allora un'occupazione che immaginavo più tranquilla: il custode dei segreti. Dio quanti ne ho raccolti! E catalogati e accuratamente conservati: un archivio immenso di amori, dolori, passioni d'ogni tipo giace in fondo al mio cuore. Ero così diligente che fui, per così dire, promossa sul campo: da testimone, divenni ombra. Il mestiere dell'ombra è stato uno dei più affascinanti: ero così immersa negli altri che non riuscivo più ad individuare differenze. Li seguivo senza quasi respirare, con la cautela e l'impegno che distingue un gatto selvatico quando individua la preda. Vivevo tutto ciò che gli altri vivevano: emozioni esaltanti, paure e speranze straordinarie. Era però un lavoro massacrante e quanto mai pericoloso, senza assicurazioni o indennizzi di sorta: spesso rischiavo la morte e costantemente la vita. Dissi basta e fuggii. Il fuggente, insieme a il profugo e il latitante sono stati mestieri assai più riposanti, nonostante i frequenti traslochi e le continue corse: ho scoperto mondi occulti, eremi e anfratti odorosi, mi sono innamorata di gnomi e streghine, ho assaporato gli atomi di silenzio, il pudore della reticenza, che sono completamente ignorati da molti nel nostro universo di cicale. Ignoravo di vivere a ritmo accelerato nel mondo mitico e fatato di Gustav Moreau, invasa da quelle figure lunari.

    I tempi rapidi, tuttavia, corrompevano la possibilità di pensare ed io ne avevo voglia, ma non avevo metodo: mi mancava l'arte. Così cominciai a rubarla. Feci il ladro di sogni, di parole, di gesti, d'immagini; rubavo tutto ciò che mi capitava, meno le idee: ho sempre nutrito un grande rispetto per le tante che ho incontrato. Era un esercizio di fascinazione letale e gradualmente maturai un autentico pentimento e abbandonai quella vita di devianza. Per farmi perdonare trovai lavoro come donatore: donavo quasi sempre doni  felici, ma alcune volte anche perversi (sebbene inconsapevolmente).  Qualcuno mi disse che la luna era piena di oggetti smarriti ed io ci andai, li raccolsi e li restituii ai legittimi proprietari. Non fu un'impresa facile e al termine il mio senso di colpa scomparve e la pena mi sembrò scontata. Credo sia stato  l’amore per la leggerezza , per i gesti chiari e inconsueti,  a spingermi verso il mestiere di funambolo : ho camminato sui fili sottilissimi della memoria , sui fili dei discorsi della gente, tentando di capire perché un naufrago incapace di nuotare delirasse di gioia mentre la nave colava a picco; o come faceva Majakovskij ad avere un’anima senza un capello bianco? Perché ogni bandiera può diventare una benda sugli occhi della ragione? Perché qualcuno non propone la sterilizzazione delle madri degli eroi? Perché la felicità è così legata all’ottica? Bastano due lenti rosa? E ancora : si può passare attraverso il dolore correndo più forte? E’ più terribile torturare o mangiare il proprio nemico quando è morto? Perché  nella maschera il profondo è sulla superficie? Come si fa ad affrettarsi lentamente? Perché l’assenza di ogni dolore non ci rende felici? Cosa importa se siamo nati in un pollaio quando siamo usciti da un uovo di cigno? Ed è proprio vero che l’ignoranza è la madre dell’innocenza? E la zia chi è? La percorrenza di questi fili è vastissima e stare sempre in bilico non era facile: era come vivere tra le maschere di Ensor, maschera io stessa. Ometto le altre occupazioni a cui mi sono dedicata per amore delle sospensioni: il non detto, mi hanno detto, crea interesse: insomma è come avere un patrimonio da qualche parte dove qualcuno versa percentuali di punti interrogativi.

    In questo momento faccio l’ospite: però accolgo solo fantasmi. Ero per la strada tempo fa, camminavo scarmigliata senza intenti; la gente – Dio quanta gente- non mi risparmiava spintoni e scaramucce, quando a un tratto, cominciai a vedere uscire da quei corpi  dei teneri lenzuolini bianchi  con degli occhietti tra l’assonnato e il pianto. Non riuscivo a capire se stessero scappando dai corpi di quelle persone  o se venissero sfrattati. Così ne afferrai uno e chiesi.

    “Né questo né quello” mi rispose il fantasmino “E’ che siamo diventati troppi  e gli esuberi vengono automaticamente eliminati. Il guaio è che non sappiamo dove andare. Non possiamo nemmeno definirci clandestini perché nessuno può rimandarci da dove siamo venuti: una volta terminato il nostro compito diventiamo inservibili, bisogna lasciar  posto ai nuovi , adatti alle esigenze del momento”. 

Attualmente ospito  una decina di loro che ogni sera mi deliziano con storie straordinarie: ho perso il sonno, ma francamente me ne infischio.